
sabato, giugno 30, 2007
La “luna blu” di Giugno

giovedì, giugno 28, 2007
Dal fico al fegato

Ingredienti per il gelato: 85 gr di ricotta di capra, 30 gr di zucchero, 2 tuorli d’uovo, 250 ml di latte, una presa di sale.
Ingredienti per i fichi: 130 ml di vin santo, 240 ml di vino bianco moscato, 1 cucchiaio di miele, 12 fichi, ½ baccello di vaniglia.
Ingredienti per le mandorle caramellate: 2 cucchiai di acqua, 4 cucchiai di zucchero, 60 gr di mandorle bianche pelate.
Battete i tuorli con lo zucchero, fino ad ottenere una crema. Fate scaldare il latte e versatelo un poco per volta nella crema, mescolando continuamente con una frusta. Mettete il tutto in una casseruola, ponete su fornello a fiamma bassa e continuando sempre a mescolare, aggiungetevi la ricotta. Mescolate fin quando la crema si addensi. Passatela al setaccio, ponetela in un recipiente metallico che coprirete con della pellicola. Raffreddate la crema, ponendo il recipiente in una bacinella con del ghiaccio, e poi mettetela nella gelatiera. In una casseruola versate il vin santo, il vino bianco, il miele ed il baccello di vaniglia. Fate ridurre di un quarto. Togliete da fuoco e lasciate raffreddare. In una padella, su fiamma bassa, fate sciogliere lo zucchero con l’acqua, aggiungete le mandorle, e mescolate con una spatola fino a che si caramellino. Ungete una placca o meglio ancora una tavola di marmo e versateci le mandorle, allargatele bene cercando di dividerle e lasciate raffreddare. Dividete i fichi ognuno in quattro parti. Disponeteli su un piattino e versateci su un cucchiaino di riduzione di vino. Disponete al centro una pallina di gelato e guarnite con le mandorle caramellate.
mercoledì, giugno 20, 2007
Foto-food reportage da Santorini

Kouloures


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Gamberi saganaki
Polipo marinato alle erbe

Frutti di mare con salsa alla menta
sabato, giugno 16, 2007
Buon weekend da Santa Irene

mercoledì, giugno 13, 2007
InWeDay 2007
Ogni rivoluzione determina delle nuove forme di comunicazione. La rete ha dato origine ai blogs, che sono la forma più rivoluzionaria di comunicare.
venerdì, giugno 08, 2007
Paximadi: il pane “popolare” dalle origini aristocratiche


Paximàdi di orzo
Il paximàdi dell’esercito
In tempo di guerra l’esercito si cibava quasi esclusivamente di questo alimento. Esisteva addirittura un gruppo speciale che si occupava del suo trasporto e distribuzione. Lo storico Procopio (V sec. d.C.) asserisce, infatti, che il pane destinato all’esercito doveva entrare in forno due volte. Uno dei futuri imperatori di Bisanzio, Giustino, riuscì a sopravvivere grazie ai modesti paximàdia, in una lunga marcia che dall’Illiria lo condusse a Costantinopoli.
Il paximàdi destinato all’esercito bizantino era detto artos buccellatos, per questo i soldati erano chiamati buccellari.
Il paximàdi dei monaci
Nei grandi monasteri i monaci avevano di solito il pane fresco, in quelli piccoli invece i paximàdia rappresentavano il cibo principale. Di solito era di orzo e molto duro. Ovunque si sviluppò l’eremitismo l’unico cibo “ammesso” erano i paximàdia, i frutti e le radici. Tutti monasteri che si trovavano vicino gli eremi, di conseguenza, si assunsero l’incarico del loro rifornimento. Così in questi monasteri si sviluppò in maniera particolare l’arte di fare il dipiritos. Ed ancora oggi nei monasteri cretesi si producono dei paximàdia di qualità eccellente, un esempio tipico è il monastero di Akrotirianì (Toplou) a Sitìa.
I paximàdi dei pescatori di spugna e dei pirati
Per i pirati, che molto spesso immergevano nel lutto le isole dell’Egeo, i paximàdia rappresentavano un’importantissima arma nei loro lunghi viaggi per mare. Pierre Bellon, narra che con un sacco di farina ed uno di paximàdia, una tanica di olio, un vaso di miele, poche trecce di aglio e di cipolla ed un po’ di sale si poteva vivere un intero mese nei viaggi per mare. Pure per i temerari sfuggarades (pescatori di spugne) di Kalimnos che aravano il Mediterraneo nelle profondità per cercare le preziose spugne, rappresentava il compagno più fedele. Infatti, come ci dice Henry Blount (1636), essi si nutrivano fin da piccoli di paximàdia per rimanere magri.
Paximàdi all'anice
Nonostante si creda che la scelta e la conservazione dei paximàdia sia semplice, la realtà è discordante. Il paximàdi deve essere cotto non ad alte temperature; quando lo compriamo dobbiamo stare attenti al suo colore, che dipenderà dalla farina utilizzata. Quelli di grano devono avere un colore dorato; quelli di orzo più scuro. Non bisogna scegliere i paximàdia bruciati in quanto hanno un sapore aspro e perdono il senso della freschezza. La confezione deve essere di buona qualità e non trasmettere il proprio odore al prodotto. Non è necessario che sia chiusa in modo ermetico, ma non deve neanche far sì che venga in contatto diretto con l’aria dell’ambiente. La sua conservazione è semplice. Non c’è bisogno di frigorifero. Ed essendo il suo maggior nemico l’umidità, va tenuto in luogo fresco e asciutto. Di solito può durare un anno intero dalla data di produzione.
Il battesimo dei paximàdia
Il paximàdi può essere consumato secco o bagnato nell’acqua per ammorbidirsi. Il suo “battesimo” necessita di attenzione. Non bisogna lasciarlo per più di pochi secondi, perché non perda la sua fisionomia e si sciolga. A Creta, la regione con la più grande tradizione del pane a doppia cottura, si dice che un buon paximàdi deve rimanere croccante anche dopo il suo “battesimo”, deve essere consumato tranquillamente, deve essere morbido, ma con la presenza di isolotti croccanti. Sono venuta in possesso di dieci ricette preziosissime, originarie di Creta e delle isole del Dodecaneso. Mi cimenterò nella loro realizzazione quando avrò il mio forno a legna (speriamo molto presto).
Kouloures
In base alla forma, i paximàdia cretesi vengono distinti in due grosse categorie: i dakos e le kouloures. I dakos sono fette, tagliate spesse, di pane dalla forma allungata. Le kouloures sono ciambelle tagliate a metà longitudinalmente, che danno origine a due parti, quella inferiore e quella superiore. Ci sono delle regole ferree che determinano la “distribuzione” delle kouloures. All’ospite non viene mai offerta la parte inferiore, in quanto indice che non è il benvenuto. Particolarmente indicativo di mal benevolenza era l’offerta all’ospite della parte inferiore capovolta.
La maniera più comune di servirle è bagnarle, metterci su pomodoro fresco a pezzetti e feta sbriciolata, cosparerle di origano o maggiorana freschi e versarci su un filo di olio extravergine di oliva.
martedì, giugno 05, 2007
Siamo ciò che mangiamo! Un fotoreportage dal TIME.















venerdì, giugno 01, 2007
1 Giugno 2007, la giornata di Amalia
